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Gli stereotipi LGBT+ nello sport e la difficoltà di fare coming out

Pubblicato Da: Elena / 29 giu 2022
Art lgbt sport

Lo sport da sempre, è una sfida per molti ragazzi e per molte ragazze. Ma spesso è anche un modo per salvarsi da strade poco felici e pericolose. Da situazioni brutte, pesanti, invivibili. Ecco perché quando diventa luogo di discriminazione, tutto si complica a livelli pro.

Anche se a volte sembra che questo mondo non sia ancora pronto a distruggere i suoi stereotipi, in realtà sono tante le sfaccettature che contraddistinguono quella che una volta è sempre stata impostata come mascolinità egemonica. Ovvero sport=maschio. Nemmeno donna, figuriamoci gay o lesbo o trans.

È sempre stato mentalmente facile legare lo sport alla figura mascolina muscolosa, possente e da vero uomo che non deve chiedere mai, forse merito anche di quel calcio tanto seguito e tanto idolatrato.

Siamo però in momento in cui gli equilibri si stanno riassestando. Quasi sicuramente nella storia, tutte le persone LGTB+ che sono riuscite a fare carriera nello sport a livello professionistico, sono state obbligate a tenerlo nascosto, per non irrompere nelle circostanze sociali, religiose e culturali del nostro paese e le loro imposizioni.

Per fortuna oggi, a differenza degli altri periodi storici, esistono gruppi e organizzazioni che si battono per difendere i diritti LGBT+ all’interno dello sport.

Discriminazione e sport: come contribuire al cambiamento?

Anche se l'Unione Europea ha costruito un ampio quadro legislativo, i casi di razzismo e omofobia nello sport sono ancora molto diffusi. Nonostante vi siano alcune variazioni, la discriminazione nello sport comporta molto frequentemente la stigmatizzazione sulla base di caratteristiche esterne come il colore della pelle, la forma del corpo e il sesso.

I principi generali di non discriminazione e di uguaglianza sono riaffermati anche nella Carta dei diritti fondamentali dell'UE. Questo arsenale giuridico è completato da una serie di direttive e decisioni volte ad aumentare la protezione individuale.

Negli ultimi anni, i Gay Games e i Campionati multisport gay e lesbici europei hanno contribuito a sensibilizzare, costruire l'autostima e cambiare le percezioni basate sul pregiudizio. Inoltre, già dal 2016, la Commissione Europea ha supportato il Consiglio d'Europa nella promozione della sicurezza in occasione di eventi sportivi.

Anche se a livello giuridico sono stati compiuti tanti passi avanti, il problema vero da sistemare è quello della società e del non rispetto verso questa comunità e le scelte personali di ognuno. Oltre che a far si che sia la scuola al centro di tutto ciò.

Se prendiamo ad esempio qualche dato, abbiamo il 40% delle donne che lavora nell’industria sportiva e subisce ancora ai giorni nostri discriminazioni in base al sesso. L’84% degli atleti americani ha assistito o sperimentato l'omofobia o la transfobia nello sport.

Le donne sono viste prima come madri o mogli e poi come atlete. Gli stereotipi di genere che sono tossici, portano anche le atlete a essere oggettificate e sessualizzate, il loro aspetto ottiene più stampa delle loro abilità. E le partite femminili sono sempre presentate (quando vengono presentate), ad orari improponibili. Qui si tratta di discriminazioni di genere, che vede più coinvolto il lato femminile.

Mentre gli stereotipi di genere, si percepiscono maggiormente per gli atleti maschi: coloro che praticano sport “da femmina”, sono spesso vittima di bullismo soprattutto in età giovanile.

La discriminazione razziale esiste probabilmente dall’inizio dello sport. Anche personaggi come LeBron James non sono stato escluso dal razzismo. Nel 2017 la sua casa è stata vandalizzata dai ladri la notte prima delle finali di NBA. Gli atleti di colore hanno spesso subito molestie, vessazioni e discriminazioni da parte di tutto il mondo sportivo.

Le discriminazioni religiose sono ancora più subdole e complesse. Perché la religione si fissa su giornate impraticabili, oggetti e abitudini, divieti e possibilità. Nel 2017, una giocatrice di basket femminile del Maryland è stata costretta a saltare la finale regionale della sua squadra perché non ha prodotto "prove documentate" che la sua hijab fosse indossata per motivi religiosi.

Come contribuire al cambiamento? Partendo dal singolo, partendo da noi. Insegnando ai nostri figli il rispetto e prendendo le distanze da tutte queste forme.

Omofobia ed eterosessismo nelle scuole

Purtroppo, la discriminazione è ancora all'ordine del giorno nelle scuole. Non solo durante le ore di lezione in classe ma anche e soprattutto in quelle dedicate allo sport, spesso in palestra. Deve essere insegnato per prima cosa il concetto che lo sport non ha orientamento sessuale né di genere, e che deve essere “un luogo” libero.

Il bullismo riguarda tutti gli atti di prepotenza e abuso che si fondano sull’omofobia, e sono rivolti a persone percepite come atipiche rispetto al ruolo di genere. Questo fenomeno riguarda in misura maggiore ai maschi. Essere gay è di fatto un appellativo che erroneamente viene correlato a non essere uomini, per cui l’omosessualità va a costituire una minaccia all’identità sessuale maschile. Purtroppo, poi il bullismo è molto più concreto e reale in questo parte di mondo, che vomita di seguito, sulla parte femminile.

I suggerimenti per facilitare l'inclusione di questi gruppi nello sport

Ma una volta che abbiamo identificato il problema, cosa è possibile fare per rendere omogenei e integrati i diversi gruppi?

  • Scrivere un protocollo su come agire in caso di LGBT fobia;
  • Prestare attenzione a tutti i tipi di molestia e isolamento;
  • Sistemare tutti gli spogliatoi in modo che tutti possano sentirsi liberi di fare la doccia;
  • Aiutare coloro che lavorano nell’ambito sportivo e di tutte le società a essere formati in questo contesto;
  • Usare sempre un linguaggio sempre poco offensivo e rispettoso verso chiunque;
  • Evitare di far svolgere attività differenziate per sesso.

Non esistono sport maschili o femminili, ma quelli che sono più mascolinizzati o più femminilizzati.

Martina Navratilova è stata la prima atleta professionista ad uscire allo scoperto durante il gioco. Dopo essersi esposta, ha continuato la sua meravigliosa carriera ed è diventata una tenace attivista in difesa di questi diritti.

In Spagna, ben il 64% degli studenti delle scuole secondarie ha assistito a comportamenti omofobi tra studenti o ne è stato vittima durante le lezioni di educazione fisica.

La European Gay and Lesbian Sport Federation (EGLSF) è un'organizzazione che promuove la visibilità all’interno del mondo dello sport e rappresenta 15.000 atleti provenienti da tutta Europa.

I dati della ricerca europea sulle persone LGBT+ nello sport

L’età varia dai 16 ai 78 anni: sono coloro che hanno partecipato alla ricerca Europea sulle persone LGBT+ nello sport.

Oltre 5500 persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali (Lgbti) residenti nei 28 paesi dell’Unione Europea hanno completato il questionario online proposto dall’Institute of Sociology and Gender Studies della German Sport University di Colonia nell’ambito del progetto Erasmus+ Outsport coordinato da AICS – Associazione Italiana Cultura e Sport.

5 i Paesi del progetto coinvolti: Italia, Austria, Germania, Scozia e Ungheria. Ma quali sono i dati emersi? Il 90% dei partecipanti percepisce l’omofobia come un problema nello sport, per la transfobia i dati aumentano ulteriormente.

Quasi il 20% hanno rinunciato a praticare lo sport a causa del proprio orientamento sessuale. Per le persone trans sale al 54% e riguarda il calcio, la danza, il nuoto e la box soprattutto. Circa un terzo di persone non ha dichiarato il suo orientamento sessuale. In Italia siamo al 41% non dichiarati.

Nel 49% dei casi chi agisce una discriminazione sono compagne/i di squadra. In Italia si sale al 60%. Per quanto riguarda le segnalazioni negative, l’82% hanno ricevuto insulti verbali e il 75% una discriminazione strutturale. Molto comuni le minacce (44%), il bullismo (40%), il superamento della linea fisica, (36%) e persino la violenza fisica (20%).

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